Oggi lascerò Puebla per raggiungere Oaxaca; è proprio questo il tratto di viaggio dove, da una sbrigativa ricerca fatta prima di lasciare l’Italia, potrei incappare in qualche cactacea.
Ed è proprio questo il tratto che avevo deciso di percorrere in auto, e che, invece, attraverserò in bus perché, ancora una volta, vittima della mia indolenza.
Ho trascorso ore e giorni a scovare su internet immagini di cactus, yucche, dasylirion e agavi in habitat. Mi sono perso in ogni più piccolo dettaglio sin dove l’ingrandimento dei pixel me lo ha consentito e, poi, oltre i confini di quelle immagini che, anche se non potevo conoscere, dovevano essere tanto meravigliose.
Il mio viaggio in Messico però non è stato programmato come una spedizione negli habitat di crescita delle xerofite ed ora che mi trovo in quest’area di America Latina mi tocca sfiorare questi luoghi senza poterli toccare.
“Ado siempre primera” è lo slogan che echeggia in ogni stazione di bus messicana; ora sta precedendo l’invito a salire sul bus ADO diretto a Puebla. Io e il mio ragazzo saliamo e raggiungiamo i posti indicati sul biglietto, che si trovano in fondo al mezzo, accanto al wc. Mi siedo senza aspettative: voglio solo riposare.
Lentamente i quartieri di Puebla lasciano il posto a povere case di cemento che lentamente lasciano il posto a qualche chiazza verde che lentamente diventa piena campagna.
Ad accompagnarmi l’onnipresente Agave salmiana, tanto invasiva da non destare più in me alcun apprezzamento.
Ma ad un tratto sobbalzo e non è per la strada piena di dossi rallentatraffico: superbe Agavi s. ferox fanno capolino un po’ ovunque tra l’erba secca della pianura. Sono spettacolarmente fitte, robuste e, beh, mi viene da dire “sorridenti”. Con le loro foglie ordinatamente disposte e piegate mi ricordano enormi anfore verde oliva protese verso il cielo.
Le ferox, che compaiono a macchie di leopardo tra le salmiana e probabilmente progenie della stessa pianta, si sostituiranno pian piano alle salmiana fino ad essere prevalenti ad Oaxaca.
Intanto anche le yucche gigantesche che ho iniziato a scorgere fuori Città del Messico s’infittiscono, ma il pullman corre, corre e corre e non si ha il tempo di posare gli occhi su una pianta che subito sparisce, ma ne compare sempre un’altra ancora più spettacolare, anzi un’intera colonia!
Ora, ragazzi, nel tentare di rievocare quanto ho visto per descrivervelo mi tornano le lacrime agli occhi.
In un crescere esponenziale di visioni e delle conseguenti emozioni vorticose che quelle meraviglie vegetali mi destavano, sto varcando il limite della realtà per entrare nel sogno che, pure se realtà, come un sogno mi farà perdere, per circa 3 ore, il senso dello spazio e del tempo.
Senza preavviso i miei occhi si trovano di fronte a una collinetta rivestita di ordinate, dense e fitte Agave lophanta, Dasylirion e l’amata Agave stricta; si, è proprio lei! Ma in un baleno il bus le passa via e davanti ai miei occhi decine di colline si susseguono verso un lontanissimo orizzonte. Tutte ricoperte da innumerevoli specie di agave: potatorum, roezliana, triangularis, titanota, atrovirensis, peacockii, marmorata, kerchovei, karwinskii, ghiesbreghtii oltre alle Yucca pericolosa e mixtecana!
Sono spettacolarmente assortite e assettate; è una visione che mi sconvolge e non riesco a non urlare (sottovoce)!
Le associazioni vegetali mutano prosperose ad ogni manciata di chilometri e la sorpresa è continua; ora macchie azzurrognole punteggiano colline e irte montagne; le riconosco subito, le ho tanto aspettate, sono Agavi macrocantha!
Ma adesso il paesaggio è montagnoso: un’incredibile orografia “alpina” ammantata da vegetazione tropicale dalle forme insolite e fatali; centinaia di chilometri di cactacee si srotolano fugaci davanti ai miei occhi ma il mio sguardo rimane sempre e straordinariamente vigile. Una macchia verde scuro, la guardo, la metto a fuoco, lo vedo è un gigantesco Echinocactus platycanthus! Che spettacolo! Ma…eccone un altro, eccone altri, eccone una montagnola colonizzata, eccone ampi pendii pieni! Saranno piante secolari; ma come faranno a stare li belle ritte con la loro immensa mole su pareti tanto ripide?! Sembra quasi che a infilarle su quelle scarpate siano state le mani consapevoli di un gigante!
Il bus va, va e va, non rallenta, non si ferma; ora mi appaiono le prime colonnari, la sorpresa si rinnova assieme alla meraviglia di vederle crescere dritte e stabili su rocce ripidissime. Dalla mia bocca continua a uscire un soffocato “Oddiodiodio!!!”
Sono alte molti molti metri, sono superbe, sono migliaia sono Neobuxmania tetetzo e mezcaelensis; è uno spettacolo inaspettato, drammatico, intenso e intimamente emozionante. E’ tanto grandioso che, mi dice Giacomo, anche altri viaggiatori del posto tirano fuori il cellulare per portarsi a casa il ricordo in una foto.
E’ l’apoteosi più magnificente e ineguagliabile.
Curve, salite, ponti e gallerie e migliaia di neobuxbaumia che svettano ovunque, dalle irte cime rocciose ai canyon ferruginosi e poi, a perdita d’occhio, fino alla linea di orizzonte degli altipiani.
Il dimorfismo che si riesce a cogliere anche a 90 km orari è notevole: Agavi ferox e stricta in tutte le sfumature che vanno da verde all’azzurrognolo; mostruosità; riesco persino a scorgere un A. marmorata con la parte finale di ogni foglia fortemente caratterizzata da grinze.
Qualche curva ed entriamo nell’areale delle nolinaceae; qui i dirupi sono colonizzati da Beucarnea gracilis, purpusii, stricta e Nolina longifolia, sono pachidermi! Sui loro rami collane di Tillandsia usneoides danzano al vento della sierra mentre nel cielo un falco solitario osserva dall’alto, e con attenzione credo pari alla mia, quelle montagne in cerca di una preda. Il “sottobosco” per così dire è sempre un tappeto di agavi e cactacee.
Opunzie ne ho viste a migliaia e delle specie più diverse ma come trovare il tempo per loro quando alberi di Pachycereus weberi, hollianus, marginatus e grandis, quando insediamenti di Stenocereus, Pilosocereus, Cephalocereus, Echinocereus e Myrtillocactus riempivano i miei occhi di sorpresa?!
Comunque sia, così come erano apparse, queste meraviglie vegetali lentamente si diradarono, finché capii che eravamo giunti a destinazione. Sceso finalmente dal pullman, che per ore si era frapposto tra me e loro, non vi era più nulla.
Solo una deliziosa piazza messicana, enormi alberi di ficus ricoperti da luminarie natalizie e una zuppa di cactus che stavo per consumare sul terrazzino di un ristorante di Oaxaca.
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